LA CHIMERA DI AREZZO E COSIMO I DE MEDICI

 

 

Un’opera straordinaria nata come offerta ad un dio

Una delle opere più importanti e giustamente famose conservate al Museo Archeologico Nazionale di Firenze è la scultura in bronzo detta ‘Chimera di Arezzo’. Realizzata da maestranze etrusche all’inizio del IV sec. a. C., rappresenta il mostro leggendario della mitologia greca, dalla triplice natura animale (leone, capra e serpente) in posizione di difesa ed attacco allo stesso tempo, evidentemente impegnato in una lotta che gli ha già procurato diverse ferite, visibili sul corpo.

Come dimostra l’iscrizione in lingua etrusca sulla zampa anteriore destra (TINSCVIL= ‘a Tinia’), la statua nasce come offerta votiva al dio etrusco Tinia, corrispettivo dello Zeus greco e del Giove romano, da parte di un aristocratico o della comunità. Doveva trovarsi in origine in un santuario di Arezzo, probabilmente in coppia con un’altra scultura (perduta) raffigurante l’eroe Bellerofonte in groppa al cavallo alato Pegaso, intento a colpire a morte il mostro.

Il ritrovamento

La statua fu rinvenuta nei pressi di Porta San Lorentino ad Arezzo, il 15 novembre del 1553. All’epoca, a governare su quasi tutto il territorio toscano era Cosimo de’ Medici, non ancora granduca (lo diventerà nel 1569), bensì secondo duca di Firenze. Come si legge in una Deliberazione del Comune di Arezzo, “…il nostro Principe comandò che quest’opera così eccellente fosse portata a Firenze assieme a molte piccole statue di fanciulli, uccelli e animali rozzi, fra i quali anche un cavallo, alte un piede ciascuna, trovate assieme”.

Cosimo I de Medici e la statua della Chimera

Lo stesso Cosimo si occupò di pulire e restaurare le statuette, che facevano evidentemente parte di una stipe votiva, usando ’certi cesellini da orefici’. Ce lo racconta il celebre orefice e scultore Benvenuto Cellini, il quale si prese cura della Chimera, senza tuttavia integrare la parte mancante, ovvero la coda a forma di serpente, nonostante fosse tra i bronzi rinvenuti ad Arezzo. Quindi, restaurata ma senza coda, la scultura fu esposta in maniera solenne nella sala di Leone X in Palazzo Vecchio, su una base in pietra.

Cosimo era particolarmente orgoglioso di questo reperto e intendeva presentarlo come il simbolo del proprio potere e della vittoria ‘su tutte le chimere’, ovvero sugli avversari più pericolosi. Proprio in quegli anni i Medici cercavano di estendere il proprio dominio su tutta la Toscana, territorio anticamente abitato dagli Etruschi, per cui la scoperta di quest’opera straordinaria arrivò al momento giusto. Firenze e la Toscana erano eredi del nobile passato etrusco, e non è un caso che Cosimo amasse farsi rappresentare armato all’antica.

Da Palazzo Vecchio alla Galleria degli Uffizi e al Museo Archeologico

La Chimera rimase esposta in Palazzo Vecchio fino al 1718, quando per ordine di Cosimo III fu trasferita alla Galleria, ovvero agli Uffizi. Nel 1782 fu collocata ‘là ove il corridore piega a mezzogiorno’, alla fine del primo corridoio (quello di levante). Nel 1785 fu restaurata da Francesco Carradori (o dal maestro Innocenzo Spinazzi), il quale inventò ex novo la coda-serpente nell’atto di mordere un corno della capra posta sul dorso. In realtà questa interpretazione non trovava e non trova tuttora riscontro nell’iconografia tradizionale della chimera, che possiamo desumere da reperti antichi di vario genere (sculture, ceramica dipinta, gemme).

L’ultimo trasferimento del bronzo risale al 1870, anno della costituzione del Regio Museo Archeologico di Firenze nel Palazzo della Crocetta: la Chimera di Arezzo entrò a far parte della collezione con il numero di inventario 1, ancora visibile su una delle due zampe posteriori.